Alle 10.30 di mattina del 14 giugno 2008, all’ospedale Circolo di Varese, muore Giuseppe Uva. Giuseppe Uva, prima di essere ricoverato in regime di trattamento sanitario obbligatorio, è stato dalle 3 di notte alle 6 nella locale caserma dei carabinieri con i militari e con sei poliziotti, tutto l’equipaggio di pattugliamento notturno della cittadina. Giuseppe era stato fermato in compagnia dell’amico Alberto Biggiogero in stato di ebbrezza alcolica mentre spostava delle transenne al centro della strada. Nessun verbale di arresto è stato compilato quella notte, proprio perché non avevano commesso alcun reato. Nonostante questo, i due rimangono in caserma per tre ore. Biggiogero viene liberato, mentre Uva nelle primissime ore della mattina viene trasferito in ospedale, dove muore poco dopo. Aveva il naso fratturato, le scarpe consumate e il cavallo dei pantaloni imbrattato di sangue. Da quel 14 giugno la sorella di Giuseppe, Lucia Uva, chiede con tutte le sue forze che venga fatta chiarezza sulla morte di suo fratello. Questa donna coraggiosa e meravigliosa ha investito tutte le sue risorse, morali ed economiche, per arrivare a una verità giudiziaria. Sono passati quasi 5 anni, e a oggi l’unico processo celebrato è stato contro un medico, accusato di aver somministrato un farmaco sbagliato e di avere quindi causato la morte. Il medico è stato assolto e, perizia dopo perizia, si è arrivati a stabilire la correttezza di quella prescrizione. Se non sono stati i farmaci, a uccidere Giuseppe, cosa è stato?
All’interno della procura di Varese esiste un fascicolo, il 5509, che dovrebbe contenere le indagini svolte per accertare responsabilità precedenti all’ingresso di Giuseppe in ospedale. Lucia Uva, che è stata recentemente querelata dai carabinieri per diffamazione, ha dovuto ritirare quel famoso fascicolo 5509, perché la sua querela è stata inserita in quegli atti. Quel fascicolo le è costato 614,19 euro. Al suo interno c’erano solo doppioni di atti già acquisiti nel processo contro i medici. Delle ore passate da suo fratello in caserma, neanche l’ombra di un’indagine. Lucia si sente offesa, e umiliata. E noi con lei. Nei prossimi giorni dovrà affrontare un’altra spesa importante, che ammonta a 1475,80 euro, sempre per il ritiro di documenti dalla Procura (5 cd al costo di 295,16 euro cadauno). Questa donna, che mai ha voluto arrendersi, adesso rischia di non farcela. È stremata e da sola non riesce più a sostenere gli elevatissimi costi che questa legittima richiesta di verità comporta. Ha molta dignità, dignità che tutte le difficoltà affrontate in questi cinque anni non hanno minimamente scalfito. Lucia Uva si vergogna a chiedere soldi. È per questo che abbiamo deciso di farlo noi per lei. Perché il nostro sostegno in questi anni ha avuto forme diverse, e questo è solo un altro modo di starle vicino.
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